venerdì, ottobre 01, 2004

dov'eri finito?

Dov’eri finito?

La prima cosa è l’odore. La seconda, la luce.
La prima cosa è l’odore: acido, forte e caldo. Pino, ginepro ed eucalipto, ma anche agave e buganvillea e poi ancora palme mare e sale. Mi entra nel naso forte, quando abbasso il finestrino tra le ultime curve per sentirmi finalmente arrivato: cinque anni, cinque anni che non venivo. Ma l’odore è sempre quello, e come un pugno in faccia mi porta ricordi, sensazioni, realtà e passato.
La seconda, la luce. Gialla, riflessa, bianca sul mare: entra negli occhi e punge. E all’ultima curva, quella lì, quella che da bambini la mamma ci faceva tenere gli occhi chiusi per poi aprirli e salutare Alassio, ci fa scoprire il golfo, il mare, le case, la spiaggia, la casa della vecchia zia. Questa volta sono solo però, e di tempo ne è passato. Mi diverte sempre pensare che questa vista sia un po’ come quella di Copacabana, una Rio de Janeiro ligure con migliaia di giovani prosperose che mi aspettano sulla spiaggia, sculettanti e poco vestite.
A risvegliarmi dal sogno e dal probabile incidente ci pensa la vecchia zia, che mi aspetta al cancello della villa. Per anni ho passato qui le mie estati: fino a quando sono andato per un lavoro di qualche mese in Germania, a Berlino, per poi rimanerci. Cinque anni. Ma adesso è finita, eccomi di nuovo a casa, o dove si suppone che per me lo sia.
La zia è felice di vedermi, sorride tra le sue rughe e i suoi acciacchi: c’è una complicità particolare tra noi due, è una persona molto difficile e spesso antipatica,ma che con me si addolcisce. Delle volte, ad onor del vero. Mentre scendo dalla macchina e camminiamo in giardino, mi chiede se ho fatto buon viaggio, se mi ricordavo della strada, della casa.
“Sì zia, anche se sono cinque anni che non vengo. Sono anche un po’ emozionato, ho anche un po’ di batticuore, te lo giuro”. E’ vero.
“Ma chi vuoi prendere in giro... proprio te, te che non ti importa mai di nessuno” - e forse è vero anche questo- “Cinque anni, ma dov’eri finito?”
“Diciamo che volevo prendere un po’ d’aria nuova”, le rispondo.
“E adesso ti è passata questa voglia di aria nuova?”, mi chiede ridendo.
Non riesco a rispondere, ammicco un sorriso, ma ogni volta è una spina nel cuore. Come ha fatto a finire tutto dopo tutto questo tempo? Non ce la facevo più a rimanere lì, dove tutto riconduceva a lei. Tornare è stata una scelta quasi scontata, naturale, anche se mi sento come chi torna perdente dalla guerra: delle volte mi sorprendo a fare di questi paragoni e mi sento un verme.
Tutto è uguale a prima: pochi cambiamenti, neanche tanto vistosi. La casa ha qualche crepa, il giardino è un po’ trasandato, ma la cena è sempre la stessa. Minestrone-cotoletta-pomodori-frutta, una sorta di schema da nazionale di calcio, un dogma che resiste tutto l’anno per la zia, e che per me è tanto normale quando mi siedo a tavola in giardino con lei. A cena le racconto un po’ di quello che ho fatto, ma soprattutto ascolto i suoi acciacchi e le sue storie, peraltro spesso zeppe di invenzioni: però sempre originali e ricche di vita.
Dopo aver mangiato la zia si ritira e io passo un po’ di tempo a fare quello che facevo sempre: qualche minuto sul muretto che dà sulla passeggiata ad osservare i passanti, una mezzoretta sul letto a fissare il soffitto ascoltando un po’ di musica. Adesso però quando sono sul letto non penso più alle serate in spiaggia, ai pomeriggi con gli amici in acqua e a quello che la serata può offrirmi: adesso i ricordi sono altri, forti e ancora recenti, e fanno male.
Mi do una sciacquata ed esco, sperando conforto nella notte ligure che immagino non sia cambiata di molto: passeggio tra i vicoli e il lungomare, tante facce conosciute, tanti luoghi familiari. Colori tenui, strade sporche, gente rilassata, odori di vicoli.