martedì, ottobre 05, 2004

cipolla al sole

le avventure di bloody mary

Pancia da colazione abbondante e carnagione color latte: così mi presentavo a una sardegna francamente abbastanza indifferente al mio arrivo. Una volta sceso dal traghetto, in compagnia di una indigena (che parlava una lingua incomprensibile al telefono e che purtroppo non assomigliava molto alla bella brasiliana che sognavo di incontrare) e di altri disperati che avevano dormito in corridoio, avevo infatti visto sfilare l’autobus per Palau davanti ai miei occhi. Badate bene: sfilare, non passare. Era infatti già da un paio di ore che aspettavo quando l’autobus, in mostruoso e sardo ritardo, decideva di arrivare ma non di fermarsi per raccogliere solo qualche passeggero: come dicevo prima, l’isola mi accoglieva abbastanza indifferentemente.
Qualche ora dopo, sporco di una notte in traghetto e di una decina d’ore di viaggio e di sale mi ritrovo al benzinaio del porto di palau ad aspettare bloody mary: facile lasciarsi andare a romantiche fantasie con questo nome… una misteriosa spia russa, una cantante americana zoccoletta… e invece bloody mary è un’imbarcazione a vela il cui equipaggio è formato da sette aitanti omosessuali e da una ragazza, peraltro già felicemente accasata.
Finalmente da lontano vedo arrivare la barca con i miei futuri compagni di avventura: sono felice di vederli dopo tutte queste ore di viaggio, così da lontano comincio a scherzare, a salutarli in maniera giocosa e spensierata. Come risposta ottengo urlacci e richiami alla serietà.
Ripetiamolo pure: una barca di omosessuali (finocchi qualcun altro più tardi ci definirà), un appuntamento da un benzinaio, un’accoglienza indifferente da parte della sardegna e seriosa da parte dell’equipaggio…. Non certo delle ottime premesse…Cominciamo bene.

Salgo in barca, non senza qualche difficoltà tutto sommato ben celata: la delusione per non notare nessuna patonza dell’ultimo momento fa subito posto alla gioia di ritrovare gli altri, che si mostrano freddi ma cordiali nei miei confronti. In realtà, notando che le mie prime domande e le mie prime ispezioni riguardano cambusa e frigorifero, sanno già di avere a che fare con un osso duro. I miei timori sulla mia carnagione troppo pallida vengono subito fugati: non sono l’unico ad essere un po’ milk, a parte lo skipper Bomba e la donna Francy sono tutti abbastanza indietro con l’abbronzatura. Noto con un po’ di stupore che Mattia è anche diventato un po’ cieco, quando scambia due gabbiani a qualche decina di metri per due boe bianche, tuttavia Bomba non esita a schernirlo e riprenderlo. La convivenza tra i due cugini si potrebbe definire affettuosa e schietta allo stesso tempo: dormono nello stesso letto ma non esitano a mandarsi a quel paese (nello specifico è Bomba ad imprecare sovente contro le intuizioni del Parello, che subisce come non si era mai visto).
Dopo un fugace bagno possiamo mangiare, per una volta tutti insieme: mi sento un po’ un intruso per essermi aggregato all’ultimo ed essere salito a bordo con un giorno di ritardo, ma gli altri non me lo fanno pesare eccessivamente. Faccio poi anche conoscenza con le persone che conoscevo meno: l’Avvocato, sempre parco nei suoi discorsi e molto attento a non sprecare fiato inutile, e il nono membro dell’equipaggio, Pecus.
Pecus è sicuramente l’elemento più rappresentativo ed importante della barca: non soltanto perché appare solo ai pasti (ed in questo sento di rassomigliargli un po’) ma anche perché si dona generosamente a tutto l’equipaggio, amministrandosi egregiamente fino all’ultima giornata. Difatti è stato l’unico membro ad essere stato scelto personalmente dal nostro esperto skipper.
Non ho ancora citato gli altri tre personaggi della barca: Ga si mette subito in luce per la sua logorrea acuta, tenta in ogni maniera di compensare la penuria di parole pronunciate dal Thiebat maggiore. Garo è un po’ il padrone oscuro della barca, una sorta di uomo ombra che l’aspetto tranquillo ed amichevole nasconde un perfido calcolatore e manovratore, non a caso presto prende lo scettro di timoniere. Belva invece è il fantasista del gruppo, nasce come prodiere ma si dimostra marinaio a tutto campo, passando da anchorman (uomo ancora, che però in inglese vuol dire presentatore, nda) ad uomo randa.
Dopo una rapida visita ai monumenti indicati dallo skipper, che si dimostra quasi più autorevole come guida turistica che come uomo di mare, possiamo salpare alla volta di Porto Pozzo dove pare ci aspetti una festa indecente in spiaggia in mezzo a surfiste e ballerine di samba.
La navigazione, rigorosamente di bolina (come d’altronde il 90% delle uscite in barca, per qualche oscuro motivo), è impegnativa ma non troppo: lentamente le mie scarse reminescenze velistiche ritornano, tuttavia preferisco piazzarmi almeno per l’inizio in luoghi abbastanza innocui. Mentre veleggiamo cominciano a designarsi ruoli e personalità, decise spietatamente dalla legge del mare:
Bomba staziona sicuro nei pressi del timone indicando qualsiasi caletta o lingua di terra sia a portata d’occhio e narrando interminabili aneddoti, Belva si accende una sigaretta mentre verso prua calpesta dozzine di piedi, l’Avvocato fissa l’orizzonte come una statua di sale con gli occhiali da sole, Ga parla da sdraiato, Garo fa finta di prendersi cura di Francy che sta facendo qualcosa di utile per la comunità, Mattia invece si atteggia con fare professionale ed è tra i primi a darsi da fare.
Arrivati in rada, subito nascono le prime incomprensioni con l’altra barca (Ottone), già si capisce che faremo vita separata: ma la luce del tramonto, le acque tranquille e la libertà che solo la vela riesce a dare in questi momenti rendono l’atmosfera rilassata, serena. E’ chiaramente il momento aperitivo, the ritual, solo in parte interrotto da Emanuele e dal suo fido scudiero. Questo personaggio indecifrabile sale in barca senza sapere perché, ma comincia a darsi da fare più di quanto l’intero equipaggio abbia intenzione di fare per l’intera vacanza: ci chiediamo un po’ tutti come mai sia qui, ma in fondo finchè fa qualcosa di utile…
Saltata la festa orgasmica in spiaggia, si decide di optare per una cena a terra e il tutto viene comunicato ad Ottone: solo parte del suo equipaggio ci raggiungerà, e subito parte una scommessa su chi saranno i 4 fortunati che ci raggiungono in tender. La folla acclama il nome di Paola, una squinzia che ha in programma un affaire con il Parello che però si ritiene nauseato da tutte le battute che subisce a riguardo. La scommessa prevede che se la ragazza non verrà sul tender, Mattia verrà lasciato in pace per tre giorni da tutte queste battute.
La notte cala, siamo già tutti in ghingheri che aspettiamo gli ottoni e nell’acqua si scorge un gommone che gira varie volte su sé stesso e procede lentamente sbandando: non è un ubriaco al timone ma Fede un po’ inesperto che tuttavia riesce a raggiungerci. Paola non c’è, non è andata via ma è rimasta in barca: Mattia esulta come un bambino, ha vinto la scommessa e Belva già fatica a trattenersi.
Ci avviamo, bagnandoci completamente, verso il pontile: Corrado da buon milanese adottato vorrebbe mettere l’antifurto anche al tender, mentre ci avviamo abbronzati e freschi sul bordo del mare. Mi sento in vacanza, siamo in tanti, sorridiamo nella notte, ci raccontiamo quanto successo, cerchiamo un posto dove mangiare. A tavola Emanuele, dopo averci provato a turno con tutte le ragazze presenti, sciorina aneddoti uno dopo l’altro: passa tranquillo dal Greyhound americano agli squali africani, penso di essere l’unico ad ascoltarlo, è piacevole ascoltare una persona entusiasta anche se un po’ esagerata. Tra le tremila cose che ci racconta, ci dice di come possiamo pescare la sera stessa: Belva ed io drizziamo le orecchie, già ci immaginiamo la nostra foto abbracciati ad un blue marlin di 250 kg. Così quando rientriamo, stanchissimi che vorremmo solo un letto, ci mettiamo con le lenze ad aspettare che i pesci abbocchino. Non succede nulla, passa il tempo, la pazienza è la virtù del pescatore, sì ma che due palle… nel frattempo però passa il gommone di quelli di ottone che si sono persi, probabilmente spaventando ed allontanando definitivamente il blue marlin a noi promesso. Dopo poco però il primo pesce esce dall’acqua, è Berla che lo ha pescato ed è già panico di cosa farsene. L’esperienza dello skipper viene fuori: si ricorda che in barca la cosa più utile per ammazzare è la maniglia del winch (o switch che si dica), tutti ci guardiamo terrorizzati negli occhi ma Bomba si riferisce al pesce che viene così crudelmente freddato. E’ poi la volta di un pesce pescato da me, poi invece quando è Mattia a procurarsene uno tocca a Belva ucciderlo: il prodiere vuole finirlo di fino, colpendogli il cervelletto con una mossa chirurgica ma calcola male il colpo e il pesce ritorna agonizzante in acqua. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso tra Mattia e Berla, si beccheranno come due checche isteriche per il resto della vacanza.
La notte restiamo un paio di ore Belva ed io a pescare, il bottino è magro ma se non altro ci sono le inglesi vaccone che ascoltano tutto l’album di Cristina Aguilera a tenerci compagnia; restare seduti con il solo rumore dell’acqua, rimanere illuminati dalla luna che sembra un faro puntato addosso, sentirsi uomini procacciando cibo per tutta la ciurma, sono queste le sensazioni con le quali ci addormentiamo in vista di un nuovo giorno.

Per seguire gli amici di Ottone partiamo appena svegli al mattino, e mentre stiamo già per tirare su l’ancora vedo qualcosa muoversi in acqua: con un riflesso condizionato comincio a insultare il prodiere pensando si fosse attardato a fare tuffi (tutti rigorosamente a scucchiariello, ovvero a bomba) quando invece è al mio fianco che si sta asciugando le orecchie col suo bellissimo asciugamano della ferrari. Scopriamo che è un delfino idiota, probabilmente persosi nella baia che però ci dona della sua presenza, portando il sorriso su noi tutti.
Ci ritroviamo con gli altri in una baia dai seimila natanti: già si capisce che gli ancoraggi saranno la parte dolente della vacanza… solo la flemma impassibile dello skipper ci salva dal tracollo. Con il mio stile olimpionico nuoto verso la spiaggia, qualche mezz’oretta più tardi gli altri riescono a raggiungermi e scatta il crogiuolo al sole: ci permettiamo anche un pizzico di spocchia e di arroganza nei confronti dei volgari turisti che raggiungono queste spiagge con degli squallidi traghetti. Essendo attaccati in rada ad Ottone, facciamo conoscenza del suo skipper sardo doc, all’oscuro dagli altri mi avvicino per sentirlo parlare e carpire tutti i segreti della sua pronuncia. La giornata, come del resto quella di ieri, è splendida e il sole è alto e caldo, io cerco in tutti i modi di nascondermi per evitare scottature mentre gli altri lo sfidano sprezzante. A quanto pare una vittima dell’abbronzatura c’è già: è Mattia che è costretto a sfoggiare una maglietta ecologista per salvare la pelle. Stop al nucleare baby.
Dopo 24 ore, scopro che anche Arline è venuta in vacanza, è su Ottone ma pare che abbia spesso da fare sotto coperta. Tuttavia cerchiamo di curarci poco delle barche altrui, salvo ovviamente quando si naviga: in quei momenti se siamo davanti vuol dire che stiamo regatando e improvvisamente le cose che Michele fa da solo diventano per tutti interessantissime e, i pochi sprovvisti di spirito competitivo, vengono aizzati dal Parello. Nella regata per arrivare alle Piscine, siamo nettamente in testa di qualche metro forse, quando una strepitosa intuizione dello skipper ci fa andare palesemente fuori rotta: scopriamo in quel momento di essere in mano praticamente a un cieco per quanto riguarda l’orientamento, quindi le capatine individuali al gps per controllare la rotta si fanno sempre più frequenti. Chiaramente la regata viene considerata nulla.
Arrivati alle Piscine, avendo passato una giornata piuttosto tranquilla, l’equipaggio decide di fare uno spettacolo per intrattenere le altre barche presenti in rada, piuttosto annoiate dal calare della sera e desiderose di assistere a qualcosa di speciale. Nessun problema per la banda di Bomba, che inscena il Gavitello Show: è solo alla nona replica, con l’aiuto di due interessate tredicenni che guidano il tender meglio di Fede, che finalmente ci attacchiamo e possiamo considerarci fermi. Per ringraziare le aitanti pubertanti le invitiamo alla festa a prua in programma per la serata. Ma questa è l’ora più bella, e così andiamo a farci un bagno in un posto fantastico al calare della sera: cielo azzurro, mare caldo, sole basso e tiepido, luce profonda ma tenue, questa è l’ora più bella che tentiamo di celebrare ergendo una piramide umana. Belva miete un paio di vittime con il suo piede oramai assassino. Per finire in bellezza la giornata decidiamo di sfasciare il motore del tender sulle roccie affioranti.
La sera mangiamo tranquilli e poi, vedendo l’equipaggio pronto, insegno loro il gioco del secolo per l’indianata. Dopo un inizio stentato il gioco decolla e come al solito diventa una sfida a due Parello-Berla, che si conclude con un degno pareggio e con un’ubriacatura generale. Prima della nanna aneddoti incrociati tra i cugini presenti, possibilità di sputtanamenti per il prossimo decennio.

Al mattino seguente scopriamo che il gavitello faticosamente recuperato è di proprietà dei traghetti per cui bisogna smammare al più presto: gli altri si buttano in mare appena svegli, ma la mia vescica e le mie coronarie già al secondo giorno mi implorano per favore di non farlo mai più. Decidiamo, in perfetto accordo con noi stessi, di fare rotta verso Bonifacio: lo comunico ad Ottone davanti a tutti e la mia performance mi vale subito la qualifica di marconista ricchione. Un’ulteriore conferma sull’orientamento sessuale dell’equipaggio. Questa volta il tempo non è dei più clementi, affrontiamo le Bocche con un pochino di mare e molte nuvole, durante i bordi di bolina è bello sedersi e guardare le onde infrangersi contro la prua, osservare i cormorani volare a fianco a noi per poi pescare. E’ un po’ meno bello quando Garo, vedendomi sprovvisto di cerata, decide una piccola correzione al timone per investire un’onda lateralmente e lavarmi quindi completamente: questi sono i momenti in cui la sua perfidia viene malcelata. La traversata si fa lunghina, specialmente quando Bomba scende sotto coperta e ‘o cuggino lo deve chiamare a gran voce quando si trova in difficoltà, le previsioni dateci da capo pertusato capo pertusato capo pertusato erano esatte ma riusciamo comunque ad arrivare nei pressi della scogliera bianca e del porto. E’ stata un’emerita puttanata, ma in fondo ci sentiamo tutti un po’ fieri per aver traversato a vela le bocche di bonifacio.
Entriamo in porto e per prima cosa dobbiamo fare la benzina: io temo subito di venir mollato lì ma invece l’agitazione che percorre l’equipaggio è dovuta all’attracco che viene prontamente errato. Dopo un ultimo insulto di Bomba al cugino, facciamo il pieno ed entriamo nel porto. Pare tutto pieno, i portuali mentre sgummano coi loro gommoni sembrano dei parcheggiatori napoletani, trovare un posto sembra un’impresa. Passiamo anche di fianco ad un’altra barca, Mary One, il cui simpatico skipper pel di carota si dimostra molto gentile ed interessato nei nostri confronti consigliandoci seimila cose che adesso non ricordo, forse di uccidere i pesci con delle bottiglie di rhum. In porto finalmente possiamo lavarci, caricare i telefoni: in effetti a nessuno serve, salvo all’Avvocato che ogni sera si intrattiene un bel quarto d’ora a parlare con la sua tusa… una volta mi sono messo lì ad origliare e sosteneva di averli pescati lui i pesci, bastardo..
La sera decidiamo di mangiare fuori, di fare una serata in città ed andiamo al ristorante; di Ottone si presentano i soliti quattro. Durante il pranzo, Arline e Alessandra insultano ripetutamente Paola salvo poi ritrattare qualche mezz’oretta dopo, la cosa mi lascia abbastanza basito e in parte divertito. Anche in questo caso, l’Avvocato tace, osserva e prende appunti. Delle volte, durante i suoi intensi silenzi, penso che stia progettando un futuro grande classico della letteratura, delle volte penso che sia enormemente scazzato se non incazzato, spesso penso invece che non pensi proprio a una sega. Ga invece alterna momenti radiolina ad altri più calmi, il tutto nell’assoluta indifferenza del fratello. Delle volte quando prende in mano la telecamera, cerco sempre di farmi trovare magro e sorridente ma non ce n’è bisogno perché Belva ha la febbre da palcoscenico e appena vede un obiettivo non capisce più nulla e parte per un one man show. Sul tardi andiamo in un locale, ma siamo stanchissimi come ogni sera per cui verso le due andiamo a nanna. Poi scopriremo che Selmo ci era tornato alle quattro per fare chiusura. Beato lui.

Dopo la giornata a Bonifacio, lavati puliti e cambusati, salpiamo alla volta di Sant’Amanza. Al solito la decisione è stata presa democraticamente all’interno di Bloody Mary, gli altri si sono regolati di conseguenza. Tentiamo di veleggiare, fa un caldo mostruoso, non c’è un alito di vento ma l’atmosfera è estiva come non mai. Ci fermiamo sulla costa vicino ad un golf, cerco invano qualche pallina sul fondo mentre gli altri, pur di gareggiare in qualcosa, fanno a gara a chi va più a fondo. Mattia esce dall’acqua con dei sassolini e li mostra felice a Bomba che gli sorride, come una mamma farebbe col suo bambino un po’ scemo. Scopriamo che Oliviero è sempre più simpatico, e veniamo raggiunti anche da Mary One: l’antipatia nei confronti di Bruno, il suo skipper rosso malpelo, è decisamente palpabile, lo stesso impassibile Michele si lascia andare a qualche insulto. Peraltro pienamente giustificato.
Di nuovo quando veleggiamo parte la gara tra gli equipaggi, prendo in mano il timone ed in un attimo siamo davanti a tutti, con tanto di filmato da parte di Ga. Dopo aver mostrato la nostra forza, annoiati cerchiamo qualcos’altro da fare: lanciamo il salvagente in acqua e partiamo con la presa dell’uomo a mare. Riuscita in pieno, con l’unico cruccio che se fosse stata una persona vera avrebbe avuto la gola dilaniata dalla potenza di Francy, la vera esperta di queste manovre col mezzo marinaio. L’Avvocato osserva. Garo sonnecchia: delle volte sembra avere una posa da armatore, da petroliere russo, da magnaccia.
Arrivati nella baia decidiamo di attaccarci tutti e tre: grave errore perché Bruno comincia subito a dispensare pillole di saggezza delle quali francamente faremo a meno un po’ tutti, Bomba invece è tutto eccitato perché vuole mostrare a tutti l’efficienza della riparazione fatta al tender. Partiamo alla volta della spiaggia (non dopo che io mi sia tumefatto una coscia sui candelieri di Ottone), il motore dura circa tre minuti, forse a causa anche di una mia sovrastima delle sue prestazioni. In compenso ho la fortuna di stare in gommone con Fede che non riesce ad accendere il suo motore, così decide di prenderlo a pugni e calci dando prova della sua proverbiale calma olimpica.
Dopo un’oretta in spiaggia, come al solito intorno alle sette di sera, torno in barca e c’è un mojito che mi aspetta: sorseggiamo felici sul ponte della barca, con Francy che sgobba come al solito, Garo in accappatoio che fa brutto, Fede seduto che scrive le sue memorie, l’Avvocato che osserva, Bruno che regala puttanate immense. Oramai la febbre di Sampei ha contagiato tutto l’equipaggio: in otto sono fuori a pescare mentre io per la prima volta faccio qualcosa cucinando un risottino (che, secondo Bruno, avrebbe bisogno anch’esso di un po’ di rhum..). Belva pesca un tonno, illudendo su futuri successi: già ci immaginiamo il tender pieno di pesce, meglio di una parabola del vangelo. Mangiamo tranquilli, poi Corrado e Fede tentano di abbrustolire Garo con una Flambuca, ma anche loro si devono poi inchinare davanti all’indianata. Pare che non ci sia molto sincronismo con le altre due barche, così quando decidiamo di cantare loro sono già svenuti in cabina; tentiamo una sortita da Mary One invitati dal pel di carota, a Parello bastano pochi minuti per invaghirsi di una cicatrice sul ginocchio.
Quando sembra che l’insofferenza verso Bruno sia oramai definita, il simpatico skipper milanese decide che noi dobbiamo rifare l’ancoraggio in base a non si sa quale legge del galateo marinaro. Bomba bestemmia qualcosa, ma la sua pazienza infinita vince anche questa volta e così verso le due di notte migriamo poco più lontani; abbastanza lontani per capitare in mezzo a un branco di lucci marini che girano arroganti attorno a Bloody Mary aspettando la pastura e rimanendo rigorosamente a due metri dalla chiglia, ovvero poco oltre la gittata delle nostre lenze. Invano io e Belva rimaniamo svegli per metà notte a combattere con questi pesci di un’intelligenza evidentemente superiore alla nostra e rimaniamo con un bel niet in mano. Potenza degli organismi geneticamente modificati, o almeno così mi piace giustificarlo. Di nuovo la branda ci attende, come ogni sera basta appoggiare il cabezon sul cuscino che già dormo profondamente, il tutto a scapito di Berla che si deve subire qualche concerto in La minore delle mie narici.

Non sopporto svegliarmi la mattina. Non riesco proprio ad alzarmi, a trovare le forze di parlare con le gente, a tenere gli occhi aperti, a fare il cordiale, a trascinarmi verso il bagno o a buttare giù qualcosa per colazione. Devo però ammettere che svegliarsi cullati dal mare, nel mezzo di una baia, con il suono dell’acqua contro le pareti della cabina e quello dei tuffi degli altri… beh non è poi così male. In fondo questa vita non fa proprio cagare. A rovinare in parte la tranquillità che ogni mattina ci pervade sono i programmi per la giornata: come al solito la pensiamo in maniera diversa dagli altri, che però questa volta non sembrano molto intenzionati a sottomettersi alle nostre decisioni. Decidiamo di metterla ai voti, la soluzione è quella di staccarsi dagli altri per continuare tranquillamente da soli.
In tre, in qualità di delegazione diplomatica di Bloody Mary, ci trasferiamo su un’unica barca per comunicare agli altri le nostre decisioni. Usciamo vincitori, ovvero tramite un’azione politica senza precedenti cambiamo ogni piano prestabilito per stare con gli altri e fare quello che non volevamo. Ad ogni modo, a nessuno gliene sbatte più di tanto, basta stare in barca che i posti, per lo meno per quanto mi riguarda, sono tutti bellissimi.
Decidiamo di partire quando un uragano che da quelle parti non si vedeva da qualche decennio si abbatte su di noi e dopo qualche secondo di scoramento l’equipaggio si ricombatta con il seguente schieramento: Francy, Garo ed io sotto coperta facendo finta di fare qualcosa ma in realtà senza nessuna voglia di bagnarci, i cugini al timone, Ga riprende, Belva si mette un cappello di lana modello tonno insuperabile e ancora una volta si dimostra marinaio completo, l’Avvocato esce sotto la pioggia e osserva. Anche sotto il diluvio ci dimostriamo i migliori nel veleggiare, e passiamo le altre due barche dove solo gli skipper sono all’aria aperta mentre tutti gli altri stanno al calduccio. Arrivati nell’isolotto di Cavallo, caliamo l’ancora e ci mettiamo a mangiare, non dopo che Mattia abbia tentato un approccio alla sua amata di Mary One alquanto strano e discutibile (“Mary One Mary One Mary One qui Bloody Mary, Mattia vuole sapere come si chiama quella operata al ginocchio”…).
Dopo qualche notizia flash appresa dal VHF, ce la scialliamo discorrendo sui massimi sistemi del mondo quando il pel di carota via radio ci dà un’imbeccata su un avvenimento imperdibile del suo equipaggio. Incuriositi usciamo e purtroppo assistiamo alla famosa cacatio publica im rada cum sputtanatio magna, alchè la nostra stima nei confronti di Bruno & company raggiunge minimi storici. Qualche minuto dopo invece dobbiamo ricrederci, quando Mary One passandoci a fianco ci epiteta come una barca di finocchi: questo Bruno sarà anche insopportabile ma tuttavia non è così stupido.
Presa coscienza della nostra natura sessuale, ci avviamo nuovamente verso la Sardegna: veleggiamo liberi a fianco di Ottone, e quando prendo il timone possiamo finalmente passarli e lasciarli indiscutibilmente indietro. Durante la navigazione si ripete sempre il solito teatrino: io che chiedo a chiunque di portarmi qualsiasi cosa, i cugini che si lavano i denti, Garo impassibile a fianco del timone, Francy che lavora per la comunità, Berla che si addormenta in posizioni contorsionistiche. Ci alterniamo al timone, le onde aumentano e aiutano Ga nel pulire i piatti, cominciamo a sentire vicina la fine della vacanza. Dopo un po’ il vento sale e la prima raffica mi coglie di sorpresa quando tento di far scuffiare una barca inscuffiabile (o inscucchiarabile secondo Garo): impassibile passo da un timone all’altro navigando la barca in inclinazioni impossibili anche con l’aiuto dei piedi. Gli altri applaudono la mia performance ma preferiscono chiamare Bomba al timone, evidentemente non vogliono emozioni forti. Ammainiamo la vele, salvo scoprire che Ottone è più fico di noi e allora parte la tattica sporca vele+motore.
Arrivati in rada dobbiamo attaccarci al gavitello: punti nell’orgoglio eseguiamo una manovra impeccabile, senza precedenti. Il trucco è nel cambiare i due uomini di prua (Mattia e Belva) con la polivalente Francy. Bastava pensarci prima. Mentre mangiamo si scatena la bufera, cantiamo sottocoperta e litri d’acqua investono Bloody Mary, le note del cielo d’irlanda ci tengono calore assieme al poco alcol rimasto.
La notte si evolve in maniera strana, gli equipaggi si palleggiano tra le barche, qualcuno dorme mentre altri fanno baldoria, le chitarre passano di mano in mano ma alla fine si ritorna sempre all’indianata. Questa volta non siamo tutti, Bomba è stato appositamente svegliato con un bicchiere di birra e un cannone in mano, ma sono le girls di Mary One a tenerci compagnia assieme al loro skipper dopo che il camaleonte è stato accompagnato in barca.
Cominciamo a giocare, ormai guidati dalla routine. Le ragazze si dimostrano sveglie nell’imparare il gioco, Bruno decisamente meno e sbaglia ogni singolo colpo. E deve bere, bere, bere.. Dopo un po’ ci stufiamo e chiacchieriamo del più e del meno, alla ricerca di un argomento che ci accomuni e che crei complicità. Non è necessario però, perché dopo qualche minuto questo argomento si presenta da solo: è il pel di carota che, appoggiato alla poppa, sbocca l’inverosimile emettendo suoni veramente schifosi. Tra il divertito e lo stupito, ci guardiamo e con rara cattiveria infieriamo sullo spavaldo skipper: c’è chi consiglia di abbatterlo, chi gli offre del rhum, chi vorrebbe lasciarlo lì, chi vorrebbe lanciarlo in acqua… fatto sta che è in condizioni pietose, non sembra proprio in grado di affrontare un viaggio in gommone.
Mattia ed io ci autosorteggiamo per prendere il suo posto in branda su Mary One per la nottata, su Bloody Mary sono sconvolte tutte le postazioni letto, ma la novità è assorbita senza grossi patemi. Giunti sulla barca straniera con un atteggiamento quantomeno incuriosito, il Parello ed io drizziamo le antenne quando le ragazze ci accolgono in mutande ma decidiamo di fare i gran signori addormentandoci all’istante (con tanto di concertino in La minore del sottoscritto).

Il risveglio al mattino è impagabile: Bruno al timone che fa lo sborone, sostenendo di aver preso un po’ di freddo la notte precedente e rimproverandoci di esserci svegliati tardi, la barca che si muove non so dove con Oliviero a prua (???). Mattia è già sul ponte quando faccio capolino anch’io con il mio testone: in quel momento stiamo passando a fianco ad Ottone ed è impagabile l’espressione di stupore sulla faccia di Selmo quando ci vede…per me vale tutta la vacanza. Anche Fede ci nota divertito, non esita a chiederci con un labiale decisamente intuibile gli sviluppi della notte (“SCOPATO?”), mentre io gli comunico che eravamo andati lì solo per fare chiusura verso le quattro.
Lentamente ritorniamo verso la nostra barca, dobbiamo portare a terra il quintale di spazzatura che staziona sul tender. Sulla spiaggia ci sono solo fighe, ma il nostro compito è quello dei netturbini illegali per cui dobbiamo ritornare: dei simpatici marinai vestiti di bianco, che poi si rivelano essere la capitaneria di porto, ci aspettano con dei blocchetti di carta al tender. Temiamo il peggio, soprattutto quando Mattia dice che eravamo scesi solo per depositare qualche scoria radioattiva in una discarica illegale, ma i poliziotti del mare ci lasciano andare mentre Bomba insulta il cugino. Oramai ci sentiamo un po’ verso fine vacanza, nessuno ha voglia di abbandonare la barca e siamo anche presi dalla vela. Decidiamo quindi di passare una giornata con il vento e il mare come unici compagni, oltre alle seicentomila barche che ci sono in mare.
Ci alterniamo un po’ tutti al timone, ognuno di noi sogna un giorno di poter avere una barca tutta sua tranne Mattia che oltre a questo si vede già a dispensare consigli a Paul Cayard, mentre guida il suo equipaggio tutto griffato Litfiba Stop al nucleare. Verso pranzo come al solito le pance di tutti noi reclamano cibo, ma la cambusa scarseggia e allora scatta l’insalata “tutto fa brodo”, dove vengono scaricate tutte le scatolette rimaste. Anche Pecus si esaurisce, osserviamo un minuto di silenzio mentre mastichiamo i suoi ultimi rimasugli.
In serata, sporchi, stanchi ma felici e pieni di vento e di sole negli occhi torniamo in porto e barattiamo un pieno di gasolio per la pulizia, un tender semirotto per una serata in pizzeria, un ginocchio di Berla per un paio di salti sui trampolini. La notte di Caniggione ci accompagna fino all’alba, con la terra che si muove in maniera fastidiosa e le barche che sono tutte tristemente ormeggiate, come delle bestie in gabbia.

Bisogna fare la valige e svuotare la barca che, onestamente, abbiamo lasciato in condizioni pietose. Tornerà splendente tra qualche ora per qualche equipaggio entusiasta del quale siamo già un po’ gelosi. Potenza delle imprese di pulizia. Rimaniamo una mattinata intera a fare colazione ad un bar di avvenenti cameriere, godiamo delle comodità di terra, suoniamo De Andrè per strada tentando di tenere in vita quell’atmosfera di vita essenziale che la barca ci aveva regalato, mangiamo pesce e io mi dimentico di pagare, ci abbandoniamo senza forze a quella che pensiamo essere la fermata dell’autobus. Oramai l’accento sardo ha definitivamente preso il sopravvento su di me, che tento di spacciarmi per isolano con qualche commerciante.
Mattia ha svolto il compitino e ha dato il suo numero alla cicatrizzata, che ogni venti minuti viene a salutarci. Io praticamente sto svenendo dal caldo e dalla stanchezza, e non mi importa nulla se l’autobus non arriva oppure è in ritardo. Alla fine andiamo verso la spiaggia, quasi ci scandalizziamo nel dover trovare un buco con il nostro asciugamano tra quelli degli altri, ma purtroppo ci si abitua in fretta e ho già paura di dimenticare tutto quanto vissuto in questi giorni: decido di fermarlo con delle parole una dopo l’altra, in queste righe.
La terra continua ad essere molto poco ferma, prendiamo un autobus che non siamo tanto sicuri che sia quello giusto mentre Mattia, dopo aver giurato di non essere stanco, si addormenta dovunque lo si appoggi. Bomba è già andato via, ci dispiace non dividere con lui anche questi ultimi sbattimenti: in parte ci sentiamo un po’ slegati senza la sua guida. Con il sole che scende, dall’autobus guardiamo tutta la costa smeralda passarci di fianco, è un po’ triste vedere tutte queste case così attaccate e opulente dopo essere stati così soli e padroni di noi stessi in mare. Ad ogni modo probabilmente sono il solo a pensare a queste cose, mentre gli altri dormono e l’Avvocato passa dalla solita catalessi contemplativa alla rituale telefonata amorosa.
Poi il porto, la pizza, aspettare, colonizzare mezzo bar del traghetto, Genova per quasi tutti noi.. ultimi stralci di una bella avventura vissuta tutti insieme.

1 Comments:

Blogger takajiro said...

Sembrava di essere sulla barca..per un attimo ho chiuso gli occhi e ho visto Oliviero che se la rideva mentre tu leggevi queste righe..Stupenda vacanza abbiamo vissuto, spiace non essere stati vicini come meritavamo, ma in fin dei conti eravamo tutti protagonisti di una splendida avventura..

10/06/2004 2:11 AM  

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